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Title: LOST o del disequilibrio
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Date: 2018-10-17
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Tags:
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Slug: disequilibrio
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LOST o del disequilibrio
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**Premessa**
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Quelle che seguono sono alcune considerazioni nate dopo i primi due cicli di LOST. Non
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costituiscono una premessa agli incontri dei cicli successivi né, tanto meno, vogliono essere una
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sintesi dei precedenti. Si tratta di osservazioni intese ad arricchire le [ipotesi iniziali]({filename}/pages/RFC.md) del progetto,
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scaturite dal riascolto degli incontri svoltisi presso il CSOA Cox18[ref]A organizzare LOST, i cui primi due cicli d’incontri si sono tenuti presso il CSOA Cox 18 nella prima metà del
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2018, sono stati: il centro sociale stesso, il collettivo Ippolita, l’hacklab UNIT, la Calusca City Lights e l’Archivio
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Primo Moroni.[/ref].
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L’attività scientifica consiste nell’ipotizzare determinati schemi interpretativi, pur con la
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consapevolezza che nessun modello potrà comprendere la materia del mondo. Ci si orienta quindi
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per approssimazioni successive e inevitabilmente capita che ci si sbagli, ma non per questo si deve
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ricominciare da capo né rinunciare del tutto.
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Contemporaneamente anche la politica, intesa come attività volta a trasformare il mondo, necessita
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inevitabilmente di un modello interpretativo che, a differenza di quanto si poteva pensare ai tempi
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in cui la scienza aveva un assetto deterministico, sarà traballante e lacunoso.
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Partendo da questi limiti (che sono innanzitutto di chi scrive) possiamo cercare di capire cosa sta
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avvenendo nel campo tecnico-scientifico considerando il ruolo degli attori, la storia precedente e
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facendo delle ipotesi -seppur timide- sulle possibili evoluzioni. Interesserà quindi la fenomenologia
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dell’impatto delle ‘nuove’ tecnologie (dove il digitale la fa da leone ma non è solo) ed anche la loro
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sostanza, sia materiale che organizzativa.
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Interesserà sapere chi paga e chi guadagna con tutto ciò, essendo assai evidenti i grossi interessi in
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gioco, ma anche “cosa” e “come” si paga e si guadagna, inquantoché non è detto che la posta in
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gioco sia solamente economica e/o materiale.
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Interesserà capire come accade che un meccanismo (tecnico o comunicativo) funzioni più di altri
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dal punto di vista della produzione di consenso e dove ciò possa portare, con particolare attenzione
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alla politica di cui si parlava prima[ref]Cfr. LOST 1.5, [Gamificazione e neuroscienze cognitive]({filename}/blog/eventi/20180418_Gamificazione.md).[/ref].
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Inevitabilmente l’interrogativo arriva poi a come la politica (nell’accezione sopra detta) agisce su
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questo terreno. Ci sono sistemi che vanno costantemente alimentati dal punto di vista energetico,
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sistemi che una volta innescati si autoalimentano e sistemi in cui improvvisamente si determina un
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mutamento radicale degli equilibri, una trasformazione di stato non casuale ma che può dar luogo a
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sviluppi imprevisti. È inutile negare che è proprio quest’ultima eventualità a offrire le prospettive
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più interessanti in vista di un mutamento dello stato di cose vigenti.
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È molto difficile sapere dove esattamente si è, ma porsi una domanda del genere è già qualcosa.
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**LOST e il convitato di pietra**
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In ogni esposizione è buona norma indicare il campo preso in considerazione e i suoi eventuali
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limiti. Vediamo quindi di dire subito di cosa il LOST non si è occupato, affinché si possa pensare di
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recuperare in futuro o decidere consapevolmente di lasciar perdere.
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Fra tutte le scienze e le tecniche, LOST si è occupato prevalentemente del digitale, informatica,
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networking e applicazioni connesse. Indiscutibilmente si tratta del fenomeno oggi più appariscente
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e, probabilmente, dotato del maggiore impatto sulle nostre vite. Ciò non toglie che sia esso stesso
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figlio di alcune trasformazioni tecnologiche nel campo della microfisica e della scienza dei
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materiali che, per fare un solo esempio, hanno permesso l’estrema miniaturizzazione delle memorie
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e dei processori a costi ‘accessibili’ per un mercato di massa.
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Dove e come la ricerca di questa scienza si svolga è importante per conoscere le dinamiche sottese a
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quegli epifenomeni che costituiscono la nostra prima base di osservazione. Le *server farm* sotto il
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ghiaccio del polo o le transazioni finanziarie ad alta frequenza potrebbero sembrare un dato di fatto
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mentre non lo sono per nulla.
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Ogni sistema esplica la sua potenza per mezzo della trasformazione dell’energia. Le relazioni
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politiche internazionali si sono, almeno dall’inizio del Novecento, attorcigliate attorno alle risorse
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energetiche e, ancora oggi, gli Stati entrano in guerra per poter costruire un gasdotto, ma ciò non
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toglie la pregnanza della domanda: quelle del metano e del petrolio sono le fonti energetiche e le
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tecnologie che meglio si confanno alle nostre vite? Senz’altro la produzione di energia elettrica per
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mezzo di combustibili fossili impone grosse concentrazioni di risorse, richiede un’ampia delega al
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fornitore e produce notevoli dipendenze dalla fonte, cosa che alla Politica con la P maiuscola,
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quella degli Stati e dei *media mainstream*, non dispiace affatto perché definisce precisi ambiti e
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flussi di potere.
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Un altro aspetto che non è stato finora messo sufficientemente in risalto da LOST è quanto accade
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nel mondo della produzione, ciò vien chiamato *Business to Business*. Che ne è degli apparati di
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elaborazione dell’informazione delle piccole e grandi imprese? Che ne è dei software che regolano
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le transazioni commerciali di merci / denaro / eserciti? Che cosa sono divenuti oggi il tecnico
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informatico, l’analista programmatore e anche l’analista finanziario? Che gradi di libertà hanno
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queste figure, quando si confrontano con un’infrastruttura esternalizzata che vedono come un
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*servizio*? E quindi, infine, chi controlla quest’infrastruttura e ne assicura la manutenzione?
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L’impressione è che, similmente a quanto accade al privato cittadino quando si dota di uno
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smartphone che non può neanche più spegnere, così l’impresa si affidi sempre più a strumenti sul
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cui funzionamento non sa più nulla, cedendo così un ennesimo residuo di autonomia al monolito
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della tecnologia, ancor prima di entrare nell’arena del mercato.
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Interessa, si è detto, capire il ‘giro del fumo’: chi paga chi per fare cosa. C’è chi attribuisce una
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connotazione volgare e retrò a un simile approccio, ed effettivamente una serie di vicende politiche
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abbastanza recenti hanno dato fin troppo peso al lato economico della vita delle persone. Ma se
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dell’effettiva utilità di un approccio come quello qui brevemente indicato si potrà dire solo a
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posteriori, almeno dobbiamo fare lo sforzo di non dimenticare *mai* i lavoratori della Foxconn, della
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cui fatica ci gioviamo quando prendiamo un passaggio con BlaBlaCar.
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Potrebbe essere utile indagare anche gli effetti delle tecnologie sull’urbanizzazione e sulla
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trasformazione del contesto sociale nel suo complesso. Come potrebbero reggere megalopoli da
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30Mil di abitanti senza un uso *industriale, capitalista, mercificato* della tecnologia? Quanto il modo
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dell’abitare / convivere / organizzarsi come individui associati delega oggi alla tecnica? E, ancora,
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quali sono gli effetti di modelli di mercato, questi sì del tutto nuovi, tipo Uber o AirB&B sul
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contesto urbano?
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Infine a LOST vale chiedersi *chi è* e dov’è finito l’utente finale, l’attore intermedio, il *villico* che,
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pur non essendo potente, non è per nulla ignorante? Anzi è proprio la storia della scienza a
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insegnarci che è dalle piccole officine che le migliori soluzioni arrivano alle accademie[ref]Clifford D. Conner, *Storia popolare della scienza. Minatori, levatrici e “gente meccanica”*, Tropea, Milano, 2008.[/ref].
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Una riappropriazione collettiva della conoscenza e della capacità di *fare* è premessa
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imprescindibile, e al contempo auspicabile e benefico effetto, d’una capace lotta contro gli
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strumenti che aggrediscono le nostre vite.
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Ora torniamo al dunque, che è un bel dunque.
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**Diffusione degli strumenti a tecnologia digitale**
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Oggi la diffusione di Internet è senza pari, probabilmente nella storia dell’umanità non ci sono
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esempi di una tecnologia così uniformemente e capillarmente diffusa. Si può stimare a tre miliardi e
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mezzo il numero di smartphone in uso attualmente nel Pianeta, prodotti da un certo numero di
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marchi diversi che, però, non supera i duecento[ref][https://it.wikipedia.org/wiki/Lista_di_produttori_di_telefoni_cellulari](https://it.wikipedia.org/wiki/Lista_di_produttori_di_telefoni_cellulari)[/ref]. Al di là degli aspetti più strettamente tecnici, è un
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fatto rilevante che la gran parte delle informazioni scambiate tra le persone attraverso la rete viene
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filtrata dai collettori dei social principali.
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Google, facebook, Twitter, Instagram, WhatsApp, ... sono il punto di arrivo o di partenza della
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maggior parte delle interazioni rete/utente del “vecchio mondo”. Le multinazionali che li
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possiedono, di fatto, maneggiano una quota enorme dello scambio mondiale di informazioni tra
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privati.
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Di qui la nascita di una nuova tipologia di marketing votato alla promozione commerciale di
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prodotti materiali o ideologie che, viste le dimensioni della platea e le possibilità di segmentarla con
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grande precisione, va rapidamente erodendo lo spazio tradizionalmente occupato dalla carta
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stampata e dai network radio-televisivi. È quanto viene definito *mercato consumer*.
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Parallelamente, e similmente, le diverse soluzioni di *cloud* professionale (Google Cloud Platform,
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Amazon Web Services, Microsoft OneDrive) tendono ad accaparrarsi il *mercato business*, cioè la
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sezione dei contenuti informativi e degli applicativi dell’apparato industriale e produttivo del
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Pianeta. Dati grezzi, DataBase, Gestionali, sistemi di posta aziendale, ma anche software
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applicativo, implementazioni di sistemi di intelligenza artificiale, tutto ciò viene tolto dalle sale dati
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un tempo gestite dalle stesse aziende e trasferito su supporti collocati in un non-luogo chiamato
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*cloud*. Il risparmio è spesso relativo mentre la delega nella gestione, nella scelta delle soluzioni
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applicative, nella manutenzione del *ferro* e di quel che contiene è totale. I beneficiari sono
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grossomodo sempre gli stessi pochi attori che tendono a spartirsi il mercato mondiale della
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comunicazione.
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Grazie a ciò una fetta crescente delle transazioni commerciali ed economiche può passare attraverso
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sistemi di vendita online, ragion per cui vanno affermandosi diverse *valute* digitali, oggi ancora
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incerte se affidare la propria garanzia a un’autorità monetaria (*ethereum*), a un bene materiale
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(*petro*) o alla comunità degli utenti (*bitcoin*)[ref]Cfr. LOST 2.1, [Blockchain]({filename}/blog/eventi/20180506_Blockchain.md).[/ref].
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In pratica, un numero ridottissimo di multinazionali ha in mano la gran parte delle comunicazioni
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(tra privati, tra privato e azienda, tra azienda e azienda), delle transazioni commerciali e delle
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funzioni di trattamento ed elaborazione di tutto questo enorme flusso comunicativo. Questo pugno
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di multinazionali, oltre a trarci del profitto, impone gli standard operativi, le soluzioni tecnologiche,
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tariffe e quindi anche le tecniche di sfruttamento e disciplinamento del lavoro.
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Che tutto questo sia in mano a imprese private può produrre situazioni di attrito con gli Stati
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nazionali che perdono, nei fatti, le prerogative proprie della forma-Stato per come è stata finora
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intesa in Occidente; non può quindi stupire che questi soggetti statuali cerchino variamente di
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difendersi, di aggirare il predominio sovranazionale delle *corporation* o, alternativamente, di usare
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in modo indipendente questo tipo di tecnologie.
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Per esempio, il governo dell’Iran ha provato a sviluppare un *simil twitter* nazionale e a caricare di
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costi l’uso di Twitter per cercare di rimediare alla propria mancanza di controllo che su questo
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*social*[ref]Cfr. LOST 2.2, [Piano d’azione contro il dominio dei monopolisti]({filename}/blog/eventi/20180516_Facebook.md).[/ref]. Mentre il governo indiano ha introdotto una forma di schedatura dei cittadini per mezzo
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della *Tecnologia del numero unico*, introdotta come volontaria nel 2004 ma divenuta obbligatoria
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tre anni dopo. Oggi con questo sistema sono censiti (*schedati*) più di un miliardo di indiani. Anche
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la Cina ha adottato la soluzione indiana, legandola inoltre a un sistema meritocratico. Un sistema
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simile è usato pure da Estonia e Svezia. Quest’ultima, coniugando le tecnologie informatiche e la
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cybernetica, sta sperimentando un sistema di chip sottopelle per legare indissolubilmente il *numero
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unico* alla persona[ref]Cfr. LOST 2.3, [Alcune tendenze totalizzanti nella società artificiale]({filename}/blog/eventi/20180527_TendenzeTotalizzanti.md).[/ref].
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Nel 2009 si è tenuto un meeting in ambito UE per trattare dell’intercettazione delle chiamate
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Skype[ref]Cfr. LOST 2.2, [Piano d’azione contro il dominio dei monopolisti]({filename}/blog/eventi/20180516_Facebook.md).[/ref].
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Nel 2017, a Ischia, si è svolto il primo summit del G7 al quale, insieme con i ministri dell’Interno
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dei sette Paesi più industrializzati del mondo, hanno partecipato i rappresentanti di quattro imprese
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private: facebook, Google, Microsoft e Twitter[ref]Cfr. LOST 2.3, [Alcune tendenze totalizzanti nella società artificiale]({filename}/blog/eventi/20180527_TendenzeTotalizzanti.md).[/ref].
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In Italia sono stati recentemente stanziati 30 milioni di euro per facilitare le aziende nell’accesso
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alle nuove tecnologie, cioè per permettere agli imprenditori di capire che cosa possono farsene
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guadagnandoci, il che corrisponde esattamente al finanziamento di quella fase di analisi del ciclo
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produttivo che va conteggiata tra i costi dell’innovazione, con buona pace dei neoliberisti teorici del
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capitalismo puro.
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Ancora in Italia, il Movimento 5 Stelle propone una piattaforma para-social per la gestione della
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vita politica e della cosa pubblica.
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E così via...
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D’altra parte il predominio di alcune – come si è detto, pochissime – *corporation* nella
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manipolazione dei contenuti informativi scambiati su Internet espone l’utente privato a tre diverse
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tipologie di “attacco” da parte dell’intermediatore, secondo una scala di sua crescente forza di
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dominio: negazione (espulsione dalla rete), controllo (raccolta dati e informazioni, tracciamento,
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profilazione), raggiro (modifica delle informazioni sulla base delle caratteristiche o dell’identità
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dell’utente)[ref]Cfr. LOST 2.2, [Piano d’azione contro il dominio dei monopolisti]({filename}/blog/eventi/20180516_Facebook.md).[/ref].
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Contemporaneamente a una pressoché completa omogeneizzazione degli strumenti usati per
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veicolare questo genere di informazioni – marche e modelli di PC e telefoni sono gli stessi su scala
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globale –, si assiste a una enorme riduzione delle capacità di controllo, manipolazione, adattamento
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dello strumento tecnologico da parte del suo utilizzatore, singolo o collettivo che sia.
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**Tecnologia come merce (rapporto tra tecnologia e capitalismo)**
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In una economia di mercato anche la tecnologia è una merce, ciò significa che ha determinati costi
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(ricerca, sviluppo, l’implementazione), ha tempi di messa in produzione, necessita di un mercato,
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ovverosia di acquirenti solvibili, e infine, oltre a ripagare le spese, deve generare degli utili secondo
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tassi tali da permettere all’intero ciclo di riprodursi ed espandersi. Per riuscire in tutto ciò, si deve
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anche organizzare – e non è l’ultimo dei problemi – una vasta massa di operatori secondo sistemi di
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messa al lavoro e disciplinamento che siano conformi all’assiomatica complessiva.
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Come tutte le altre merci, ogni innovazione mira a giocare sul tempo e ad approfittare di una
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temporanea predominanza materiale per battere la concorrenza. Vi è quindi la costante necessità di
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una messa a valore dell’*innovazione tecnologica*. Questo risultato si ottiene agendo su due piani:
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(1) la creazione e il mantenimento di un numero adeguato di utenti, clienti e lavoranti
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(opportunamente formati, fidelizzati e disciplinati)
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(2) la gestione della concorrenza (previsione delle altrui mosse, confronto e imitazione)
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A ogni produttore è ben chiaro che quando le sue ‘esclusività’ saranno in mano ad altri, i margini di
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profitto di cui gode non potranno che diminuire. Ciò vale sia per la materia tecnologica sia per le
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implementazioni d’uso via via crescenti che questa permette, ma vale anche per la massa critica
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degli utilizzatori. In meno di vent’anni facebook ha conquistato più di un miliardo di utenti, e gode
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per questo di una posizione fortemente predominante. Sa però che altrettanto velocemente potrebbe
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dover lasciare il posto ad altre tecnologie e ad altri sistemi (cosa che forse sta già avvenendo).
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La messa a valore di un prodotto che è anche un *marchio* sottoposto al mercato borsistico presenta a
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sua volta due piani distinti. Uno produttivo commerciale: la valorizzazione di una merce che
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permetta di estrarre profitto da un investimento mediante la compravendita, e un piano finanziario[ref]Una relazione forte tra la tecnica e l’esplosione della cosiddetta finanziarizzazione c’è. Solo una tecnica di
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interconnessione in tempo reale su lunghe distanze poteva permettere il passaggio dalle borse delle “grida” alle
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piazze borsistiche moderne. L’afflusso iniziale dei capitali finanziari ha invece una storia diversa ed è legata a
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quella che a suo tempo fu chiamata crisi petrolifera, che fu crisi per qualcuno ma non per qualcun altro.[/ref]:
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la valorizzazione della rendita del capitale per i titoli cosiddetti *tecnologici* è spesso determinata
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dalla massa degli utenti e dal trend di crescita. In virtù della strutturale evanescenza del prodotto, il
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titolo tecnologico è un ottimo generatore di *bolle* finanziarie. Questo per dire che non bisogna mai
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dimenticare l’eterogenea composizione del capitale e le oscillazioni tra le sue diverse anime.
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In un sistema a economia capitalista, sistema che per sua natura è perennemente in disequilibrio, la
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concorrenza, similmente a quanto fanno i differenziali dei tassi di sfruttamento, dà luogo a quei
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vantaggi marginali che derivano da posizioni di predominio e che permettono di avvantaggiarsi
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temporaneamente sul mercato. Da un lato il capitale complessivo si lancia nello sfruttamento di
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nuove “frontiere” mercantili (nuovi bisogni, nuovi prodotti, nuovi consumatori), lavorative (nuova
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forza-lavoro) e di risorse naturali (agrobusiness, estrattivismo), occupando quelle regioni del mondo
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che gli garantiscono più alti tassi di sfruttamento e minore attenzione alla salute delle persone e
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all’ambiente, essendovi ammesse tecniche produttive estremamente nocive ma redditizie. Dall’altro
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lato i diversi capitali, con dietro i rispettivi Stati, sono costantemente impegnati in una spietata
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concorrenza reciproca. In entrambi i casi il sistema tende a tornare verso una situazione di equilibrio
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e di saturazione che riduce progressivamente i margini di profitto fino a farli scendere sotto il livello
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necessario a impedire il collasso.
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L’innovazione tecnologica rientra pienamente in questo tipo di ciclicità. L’introduzione di una
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tecnologia nel processo di valorizzazione, sia essa intesa come come mezzo di produzione o come
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merce finale, ha dei costi che sono sia di ricerca tecnica sia di analisi del ciclo produttivo in
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relazione al nuovo mezzo di produzione, per meglio sfruttare le sue potenzialità. Si tratta di
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frammentare, per scoprire fino a che punto si possono parcellizzare e automatizzare le fasi del
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lavoro. Questa attività va sotto il nome di Intelligenza Artificiale, ma a ben vedere non è molto
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diversa da quanto accadde con gli spilli di Adam Smith[ref]Cfr. LOST 1.3, [Genealogia del tecno capitalismo]({filename}/blog/eventi/20180318_Genealogia.md).[/ref]. Si tratta di costi che alla fine della fiera
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devono generare dei profitti prima che si vanifichino per effetto della stessa concorrenza[ref]La concorrenza può portare anche a fenomeni d’altro tipo. Per esempio, quando WhatsApp inizia a cifrare le
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comunicazioni, forse lo fa per scaricarsi dalla responsabilità giuridica di detenere il contenuto di terabyte di
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messaggi (cit. Vecna, LOST 2.2), ma forse anche perché è fortemente incalzato dal suo acerrimo avversario Telegram, che ha fatto
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da subito della cifratura delle comunicazioni la propria bandiera.[/ref]. Se la
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concorrenza intercapitalistica è l’anima dell’economia, benché tenda a ridurre progressivamente il
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vantaggio tecnologico e con esso il saggio di profitto, in un sistema monopolistico puro (come non
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è quello attuale) che cosa succederebbe? E in un sistema para-monopolistico come quello ch’esiste
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oggi? Non a caso gli Stati-nazione, in quanto espressioni più o meno salde di borghesie locali più o
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meno “storiche”, oscillano tra ammirazione, imitazione e allarme, temendo di perdere il controllo
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della conoscenza e di ridursi a fare da guardiani di un impero più grande[ref]Cfr. LOST 2.4, [Narrazioni del neoliberismo]({filename}/blog/eventi/20180530_ProgNeoLib.md), dibattito.[/ref]. Comunque sia, gli effetti
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delle trasformazioni tecnologiche vanno sempre esaminati nella loro dimensione temporale,
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all’interno di un ciclo di valorizzazione che ha una dinamica oscillatoria.
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<center>-.-</center>
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Una domanda ancora apertissima è in quale misura (e se) queste tecnologie abbiano prodotto
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tipologie di merce realmente diverse. O, per formulare meglio la domanda: che cosa è realmente
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valorizzato da queste tecnologie? Qui corre tutta l’interrogazione intorno al “lavoro immateriale”,
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per esempio analizzato da Guglielmo Carchedi[ref]Si veda il suo saggio intitolato *Sulle orme di Marx, lavoro mentale e classe operaia*, Quaderni di Contropiano,
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Napoli, 2017.[/ref], come anche da Formenti[ref]Cfr. LOST 2.4, [Narrazioni del neoliberismo]({filename}/blog/eventi/20180530_ProgNeoLib.md)[/ref], nonché oggetto di
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attenzione costante da parte della scuola operaista.
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Per meglio orientarsi nella ingarbugliata matassa che avvolge questo tipo di oggetti teorici, forse
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conviene distinguere tra strumenti tecnologici “ludici” (per es. i social), l’uso dei quali è frutto di
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una scelta ‘volontaria’ (seppur indotta), e strumenti (come per esempio quelli di controllo dei tempi)
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che vengono imposti da chi acquista la forza-lavoro per usarla produttivamente (il computer per chi
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lavora scrivendo, il braccialetto elettronico per gli addetti della logistica, l’app per il rider). Talvolta
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le due cose coincidono o si scambiano le funzioni: per esempio l’uso di WhatsApp per coordinare i
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gruppi di lavoro in alcuni contesti professionali è imposto, col risultato immediato di estendere di
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fatto, ma non di diritto, la reperibilità all’arco delle 24 ore per 7 giorni alla settimana[ref]Un’interessante descrizione di questo genere di fenomeni emerge dall’attività dei cantieri socioanalitici raccontati
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da Renato Curcio nel suo *L'egemonia digitale. L'impatto delle nuove tecnologie nel mondo del lavoro*, Sensibili alle
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foglie, Roma, 2016[/ref]. Si deve
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contemporaneamente riconoscere che il carattere implicitamente impositivo della tecnica lascia
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sempre meno spazio alla scelta volontaria. Diventa sempre più difficile, per esempio, aprire un
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conto corrente senza associarlo a un numero di cellulare e a uno smartphone, mentre di fatto alcune
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transazioni (come l’addebito dello stipendio ma anche dei *voucher* per i lavori intermittenti) sono
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indissolubilmente legate a un IBAN bancario.
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Nell’analisi dei soggetti coinvolti nel campo di cui stiamo trattando, è utile chiedersi che ne sia
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della figura del “tecnico” e domandarsi come avvengano l’analisi degli obiettivi, lo sviluppo, il test,
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la messa in produzione di questo genere di innovazione tecnologica; se esista una pianificazione
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strategica o se si sia ancora in una fase di ricerca; infine, quanto siano coinvolti istituti di ricerca
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pubblici, di che natura siano gli investimenti che sostengono queste trasformazioni. Per esempio, in
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alcun casi come l’India e la Cina, si direbbe vi sia un diretto apporto statale nel finanziamento e
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nell’indirizzo delle scelte tecnologiche, in altri apparentemente meno, anche se bisognerebbe
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verificare il nesso tra la ricerca militare e gli impatti sociali della tecnologia, visto che la ricerca
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militare è ancora una prerogativa dell’apparato statale.
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Infine, vale considerare che la genesi e definizione dei protocolli tecnologici implica l’esistenza di
|
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un controllo standardizzato delle regole dello strumento prima ancora che del contenuto del
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messaggio, Ciò vale per tutti i *social* ma anche per i *cloud* aziendali, che impongono in maniera
|
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molto rigida le loro soluzioni.
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<center>-.-</center>
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Le tecnologie digitali hanno un forte impatto sul concetto di *gratuità* e sulla sua pratica:
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- su internet (ma non solo) la gratuità è un paradigma oramai abbastanza scontato. Ci si aspetta
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sempre che esista un minimo livello di accesso ai servizi online in forma gratuita o che esista
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almeno un software gratuito che risponda a qualsiasi necessità. In realtà l’investimento per la messa
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in opera dei servizi online è grosso e i costi di mantenimento delle piattaforme *social* sono
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abbastanza elevati. Perciò, se la gratuità è un modo per generare la massa critica di utenti necessaria
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per entrare nel gioco ed è un modo per accrescere il capitale finanziario aumentandone il corso sul
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mercato azionario mondiale, d’altra parte questo po’ po’ d’investimento è necessario che renda
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qualcosa, donde la necessità di valorizzare il BigData. Si è quindi aperto il torneo per vedere chi
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meglio saprà utilizzare l’immensa mole di dati che i sistemi di oggi sono in grado di collezionare.
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* Microsoft ha acquistato GitHub per 7 miliardi di USD e paga 1000 sviluppatori perché ci scrivano
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codice ‘free’. È un investimento consistente sulla ‘gratuità’.
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* Viceversa i due maggiori quotidiani online pubblicati in Italia hanno da poco e più o meno
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contemporaneamente smesso di essere del tutto gratuiti. Evidentemente i milioni di contatti al
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giorno non fruttavano abbastanza in termini di entrate pubblicitarie o di raccolta dati. Sarebbe
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interessante vedere oggi qual è l’andamento degli accessi.
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- immaginando la profilazione come una forma di pagamento per servizi *gratuiti*, si vede a che
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punto siano state monetizzate la vita e le emozioni.
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- i servizi / software gratis ricordano molto la caduta tendenziale del saggio di profitto di marxiana
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memoria. Essendo questa famosa caduta una premessa alla crisi capitalista, ci possiamo aspettare un
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momento di rottura ulteriore?
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- resta aperta e oggetto di studio da parte degli attori principali, inclusi gli Stati nazionali e le
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corporation, la questione dei rapporti del denaro virtuale con le istituzioni statuali, per esempio a
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proposito dell’imposizione fiscale e della tracciabilità[ref]Cfr. LOST 2.1, [Blockchain]({filename}/blog/eventi/20180506_Blockchain.md).[/ref].
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**Rapporto tra tecnologia e vita (Bios)**
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Da quanto finora detto, dovrebbe risultare evidente come in alcuni casi sia sempre più difficile
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distinguere tra produzione e consumo, come anche separare la sfera intima da quella del mercato.
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Schematicamente (e malamente) si potrebbe dire almeno quanto segue.
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Lo schermo delega la presenza, diventa un fattore di intermediazione tra i soggetti. Se vale la
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considerazione di Bauman secondo cui «La responsabilità, questa componente costitutiva di ogni
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condotta morale, scaturisce dalla prossimità dell’altro. [...] La responsabilità viene messa a tacere
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quando si erode la prossimità; essa può alla fine trasformarsi in avversione una volta che i soggetti
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umani a noi vicini siano stati trasformati in “altri”»[ref]Zygmunt Bauman, *Modernità e olocausto*, il Mulino, Bologna, 1989, p. 250.[/ref]. Che ne è della percezione dell’altro mutuata
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da uno schermo[ref]Cfr. [*Il marketing sui bambini*](https://docplayer.it/1565338-Il-marketing-sui-bambini.html), Free Festival delle bambine e dei bambini, 3a edizione, 2013.
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[/ref]?
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Con l’affermarsi dei monopolî del traffico dell’informazione si arriva a una standardizzazione delle
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forme comunicative e a una polarizzazione su alcune formulazioni chiave, ben rappresentate
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dall’uso dell’hashtag, fortemente semplificatorie della realtà.
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Vi è una trasformazione in rapporto all’introduzione delle tecnologie nella percezione del tempo e
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del concetto di presenza. L’immediatezza della comunicazione porta anche ad annullare o
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quantomeno a derubricare il concetto di assenza: se non ci sono lo dico, quindi ci sono. Il controllo
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sul presente sembra totale.
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Socialmente le tecniche oggi tendono a massificare, uniformare. Un pugno di strumenti tecnologici,
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sempre gli stessi, riempie le case di gran parte del Pianeta. La “varietà” culturale ed esperienziale
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planetaria si riduce di fronte alla TimeLine di facebook.
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Il gioco della tecnologia (anche quando è un gioco) diventa merce di scambio per informazioni
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estremamente personali e private su ciascuno di noi. Dati personali, ubicazioni, relazioni, contatti,
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sogni, desideri. La sfera del privato scompare, portandosi dietro il diritto alla menzogna.
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L’*algoritmo della soddisfazione*, ossia il criterio di assecondare e stimolare nell’utente della rete la
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sensazione di una *manque* per poi offrirgli *proprio il bene che fa per per lui*, meccanismo tipico del
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marketing sia commerciale che politico, ha tra i suoi effetti non secondari quello di produrre una
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conoscenza del mondo per ciascuno diversa. Ciascuno avrà la sua fetta di verità adatta a lui. Da
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questo punto di vista sapere quali sono i punti di concentrazione dell’algoritmo della soddisfazione
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e da lì analizzarne i cluster sociali che ne conseguono potrebbe rappresentare il maggiore valore, dal
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punto di vista della profittabilità e dell’esercizio del controllo sociale, fornito dal BigData ai suoi
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analizzatori[ref]Cfr. LOST 2.2, [Piano d’azione contro il dominio dei monopolisti]({filename}/blog/eventi/20180516_Facebook.md).[/ref].
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Non ci è dato sapere se i colossi della comunicazione saranno le vittime o i carnefici dell’*algoritmo
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della comunicazione*.
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**La ciclicità, l’energia**
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Sul rapporto tra tecnologia, energia e cicli economici si può vedere l’articolo di L. Reynolds e B.
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Szerszynsky *Neoliberismo e tecnologia: innovazione permanente o crisi permanente?*, pubblicato
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in italiano sul secondo numero della rivista “CountDown”[ref]Edizioni Colibrì, Paderno Dugnano (MI), 2017.[/ref]. Di fatto l’impressione è che nessuna
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delle innovazioni tecnologiche più recenti sia riuscita a far ripartire un ciclo economico bloccato da
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una crisi che ha ormai toccato il decimo anno.
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**Confronto con la storia recente**
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Tra la seconda metà degli anni Settanta e la prima degli anni Ottanta, sull’onda delle lotte sociali e
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da queste senz’altro sostenuto, prese vita un dibattito stringente sulle trasformazioni tecnologiche in
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corso e sui loro effetti, in particolare nei riguardi del mondo del lavoro.
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Nel 1978, Franco Piperno scrive: «*nel lavoro a domicilio il calcolatore sostituisce le fragili gambe
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del caporeparto...*»[ref]F. Piperno, *Sul lavoro non operaio*, in “pre-print” 1/4, suppl. al n. 0 di “Metropoli”, 1978.[/ref]; l’anno dopo la rivista “aut aut” dedica il n. 172 al tema *Scienza, degradazione
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del lavoro, sapere operaio*; nel 1980, Carlo Formenti pubblica per Feltrinelli *La fine del valore
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d’uso. Riproduzione, informazione, controllo*; del 1981 è *Il comando cibernetico*, numero
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monografico di [“CONTROinformazione”](https://www.inventati.org/apm/archivio/320/2/CON/controinformazione.php); nel 1984 Paola Manacorda, che già aveva pubblicato *Il
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calcolatore del Capitale* nel 1976, dà alle stampe *Lavoro e intelligenza nell’era della
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microelettronica*.
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Sono i tempi della rivista “Sapere” e poi di “SE / Scienza Esperienza”, tempi in cui un dibattito
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ricco, spinto da un clima sociale combattivo, testimoniava delle trasformazioni in atto anche in
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campo tecnico-scientifico. Si assiste in quegli anni a uno scardinarsi della rigidità della fabbrica
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fordista in favore di forme più parcellizzate e diffuse, sia a livello locale che globale, della
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produzione di merci. Questo passaggio, che prelude alla progressiva riduzione delle tutele sindacali
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e normative, allo smantellamento della contrattazione collettiva e alla riconduzione del salario a
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“variabile dipendente” del profitto, prefigura il quadro attuale dove la microconflittualità e la
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concorrenza tra i fornitori di forza-lavoro hanno preso il posto dell’identità di classe[ref]Cfr. LOST 2.4, [Narrazioni del neoliberismo]({filename}/blog/eventi/20180530_ProgNeoLib.md).[/ref]. Un simile
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processo difficilmente avrebbe potuto prendere piede e affermarsi in tempi così rapidi senza il
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supporto delle tecniche dell’informatica e delle comunicazioni, senza una progressiva introduzione
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dell’elettronica nelle fasi di organizzazione della produzione e della produzione stessa. Parimenti si
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può immaginare che l’afflusso di capitali finanziari a seguito di quella che una fetta di mondo,
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quella occidentale, chiamò la crisi del petrolio (1973) si avvalse in misura significativa delle
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maggiori possibilità di gestione e comunicazione delle transazioni di capitale su scala mondiale
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permesse dalle nuove tecnologie[ref]«Tra il 1974 e a fine degli anni ’80 vennero costituiti numerosi mercati regolamentati per questi strumenti derivati
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(in Italia molto più tardi viene costituito l’IDEM, Italian Derivatives Market) e ne furono estese le negoziazioni
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anche a prodotti diversi dalle commodities agricole, come già era accaduto per i contratti futures. ll progresso
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tecnologico di questi ultimi anni e l’introduzione dei sistemi informatici all’interno dei mercati finanziari, ha
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indotto importanti ridefinizioni nella struttura e nel funzionamento dei mercati stessi. La telematica ha consentito di
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passare dalle contrattazioni “alle grida” (durante le quali il titolo viene “chiamato” a una certa ora del giorno ed è
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possibile negoziarlo per un tempo determinato) a quelle “in continua” (in cui il titolo è continuamente scambiabile,
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durante tutta la giornata borsistica, inserendo gli ordini di acquisto o vendita sul book di negoziazione)». Salvatore
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Cataldo, Luca Signorini, *Investimenti, finanza e tassazione nel settore agricolo*, Maggioli Editore, Rimini, 2010.[/ref].
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Il dibattito sulla scienza accompagna da sempre il mutare delle soggettività e il conseguente
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trasformarsi dei terreni e degli strumenti che le lotte sociali si dànno.
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Il processo di scomposizione del ciclo produttivo, a guisa di quel che avvenne con la produzione
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dello spillo, permette la sua delocalizzazione nella *fabbrica diffusa* dei distretti industriali o nel
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mercato del lavoro globale. Gli attrezzi di questo scenario così ricomposto sono *anche* tecnici[ref]Cfr. LOST 1.3, [Genealogia del tecno capitalismo]({filename}/blog/eventi/20180318_Genealogia.md).[/ref].
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Oggi assistiamo a un impatto altrettanto rilevante delle tecnologie sull’intera vita delle persone, non
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solo nel lavoro. Da un lato il ciclo produzione-consumo sembra aver invaso la sfera del tempo oltre
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che dello spazio, delle emozioni oltre che del comando[ref]Cfr. LOST 1.5, [Gamificazione e neuroscienze cognitive]({filename}/blog/eventi/20180418_Gamificazione.md).[/ref].
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La proprietà conquista la conoscenza e la riduce a una merce come le altre (brevetti, copyright)[ref]Cfr. LOST 1.2, [Se questo è gratis, rompere i DRM]({filename}/blog/eventi/20180311_DRM.md).[/ref].
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Esiste un parallelo tra quanto avviene oggi e quanto avvenne alla fine degli anni Settanta?
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Una tesi interessante è quella secondo cui questo parallelo sarebbe solo apparente. Di fatto con la
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“rivoluzione microelettronica” (anni Settanta-Ottanta) l’innovazione tecnologica spostava verso
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l’alto le mansioni operaie, che si sarebbero trasformate in figure di tecnico qualificato (naturalmente
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lasciando a casa una buona fetta di persone), quindi parte della disoccupazione prodotta
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dall’automazione sarebbe stata riassorbita, mentre oggi la “rivoluzione digitale” colpisce gli anelli
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medio-alti della catena professionale, producendo una disoccupazione non riassorbibile. Al posto
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delle persone lavorano degli algoritmi. Le funzioni di dirigenza e di controllo vengono trasferite a
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delle macchine[ref]Cfr. LOST 2.4, [Narrazioni del neoliberismo]({filename}/blog/eventi/20180530_ProgNeoLib.md).[/ref].
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Questo non farebbe che evidenziare l’effetto che sullo strato medio della popolazione ha la
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trasformazione in atto, che invece lascia sostanzialmente immutata la percezione degli strati bassi,
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meno “loquaci” e meno “ascoltati”, se non per sfruttarne demagogicamente i “dolori di pancia” in
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materia di “sicurezza” e immigrazione.
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0mmot, 17 ottobre 2018
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